IO NON SONO LA MIA ANSIA

IO NON SONO LA MIA ANSIA

 

Esclusi, incompresi, traditi.

Esistono sensazioni nella vita che non comprendiamo appieno; arrivano così, ti lasciano interdetta mentre stai facendo il passo che ti porta allo scalino successivo tra il tuo pianerottolo e quello sottostante. Per un istante resti così, sorpresa, mentre il tuo cervello cerca di incasellare le informazioni appena ricevute in uno schema che già conosce. La verità è che dopo questo passaggio non importa più la sensazione nuda che hai provato, importa solo l’incasellamento: da quel momento, da quel cassetto che non hai coscientemente scelto, non la sposti più. Il mio cervello incasella spesso sensazioni inspiegabili o impreviste nello stesso cassetto dell’archivio. Può consolare pensare al fatto che questo accade a tutti. A me ha consolato per tutto il tempo che mi è servito a comprendere che comunque l’effetto non cambia. Ci sarà sempre un momento nella tua vita in cui faticherai a comprendere una sensazione, sarai agitata, confusa, e quel momento verosimilmente avrà il suo epilogo in una richiesta di aiuto. E’ proprio in quel momento che ti senti vinta, esausta, anormale, sola, e questo accade perché il tuo interlocutore, nella quasi totalità dei casi, ti chiederà: “MA NON E’ CHE SEI TU AD ESSERTI AGITATA?”.

“Si, può essere”, alle volte rispondi, mortificata. E per loro si conclude lì. Per loro una cosa esclude l’altra. Perché non possono essere entrambe le cose? Perché non può esserci qualcosa che non va e, quindi, qualcosa che mi ha fatto agitare? Perché mi rinchiudete in una gabbia chiamata ansia senza concedermi il beneficio del dubbio, senza provare a comprendere che , forse, c’è anche altro, e non solo una conseguenza ad uno stato d’animo, che non va?

Questa domanda mi è stata fatta centinaia di volte. Centinaia di volte la mia risposta, ma anche il mio silenzio, sono stati interpretati come diagnosi e non come parentesi. Centinaia di volte mi sono vista chiudere una porta in faccia quando qualcosa non andava soltanto perché sono ANCHE una persona che ha una propensione all’ansia. Non sono nata così, quindi IO NON SONO LA MIA ANSIA.

Dopo anni di porte chiuse e corridoi lunghi da percorrere da sola ho capito che il modo migliore per smettere di avere ansia è smettere di mettermi in condizione di legittimare qualcuno a chiedermi “MA NON E’ CHE E’ ANSIA?”. Quando chiedi una mano e ottieni porte in faccia, non puoi che chiuderti dentro. Non è nata come scelta ma diventa una preferenza. Credo di essere diventata agorafobica così, per la paura, nata dall’esperienza, di non essere capita, di venir ridotta ad una etichetta semplicistica e che risparmia lavoro agli altri.

Ancora oggi, soprattutto oggi, fatico a comprendere questa mutua e tacita esclusione, una legge non scritta, che legittima le persone, gli altri, “ a tirarsene fuori” quando scoprono che si, possono avere a che fare con una persona che soffre di disturbi d’ansia. ANCHE. Sono fermamente convinta che nessuno di noi si affibbierebbe l’etichetta “ANSIA” da solo, nessuno di noi si crederebbe “malato d’ansia”, se là fuori non usassero questa come diagnosi e non come possibile complicanza.

Stamattina ho realizzato che preferisco morire piuttosto che vivere con l’onta dell’ansia, ancora. Ti fanno vergognare di parlarne, diventa quasi una colpa, diventa qualcosa da tacere al fine di poter risultare credibili.

Questo è il fallimento della nostra società. Questa un’emarginazione assai più difficile da contrastare di quella che da sempre interessa altri gruppi di cosiddetti “diversi”.

Non prendetemi alla leggera perché soffro ANCHE di disturbi d’ansia.

IO NON SONO LA MIA ANSIA.

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