La verità è che non eravamo pronti, o almeno io non lo ero.
L’epitaffio di Marcel Duchamp recita: “ del resto sono sempre gli altri a morire”. Ed è così, ogni volta che pensiamo alla morte pensiamo a qualcosa che in qualche modo non ci riguarda. Riusciamo anche ad essere lucidi, vedendola, riconoscendola lì, al di la del vetro che separa noi dalla stanza dell’imputato. La verità è che non siamo pronti perché in qualche modo crediamo che le brutte notizie debbano dare una qualche sorta di preavviso. Beh, non lo fanno, se ancora lo pensate. La verità è che molto spesso succede proprio cosi, tu ti svegli una mattina e non sai che è sarà ultima, esci di casa preoccupandoti di quello che hai nel frigorifero senza poter essere certo che questo sia un problema che ti riguarderà. Solo che non lo sai, quindi rimani nella tua comfort zone: il presente è ora. Tra due ore... chissà dove saremo.
Un’epidemia è arrivata nelle nostre case, che ci piaccia o meno, che l’avessimo sentita arrivare o meno. La sua presenza, di quanto aumenta la nostra probabilità di morire oggi? La risposta è che non lo sappiamo. Non lo sappiamo per via del famoso fenomeno detto interazione: tu ed io, insieme, valiamo più della somma delle singole parti.
Come può una società come la nostra, disabituata al sacrificio da almeno mezzo secolo, come può rinunciare alla sicurezza conservata sotto al cuscino che le guerre esistono e sono brutte ma sono lontane? Come può accettare che questo Stato, per quanto costantemente denigrato, non abbia LA soluzione? Come può pensare che tutto questo non si esaurisca con la velocità con cui smettiamo di avere paura di un sisma? Non può. Il rifiuto è cucito nel taschino della società stessa e nelle trame che la compongono.
Così, perché quando un oggetto è troppo vicino lo vediamo male come quando è troppo lontano, distogliamo lo sguardo e ci concentriamo su qualcosa che è a metà via: altre epidemie più o meno gravi, le cavallette in Africa, il surriscaldamento globale... tutto, tutto basta poter continuare ancora per un po’ a credere che nulla sia cambiato. Basta poter credere che ci sveglieremo domani senza l’incubo di questa incertezza. Non siamo pronti per contemplare il collasso del sistema, non siamo pronti all’idea che possano non esserci soluzioni, o meglio, che possano esserci ma che possano non piacerci affatto.
Fermarci, sederci su di una panchina e realizzare che ciò che ci circonda e ospita è più grande di noi e della nostra vita.
“Non fa alcuna differenza” disse, “ non fa alcuna differenza, che ti piaccia o meno”.

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