Colpevole di avere vissuto
[COLPEVOLE DI AVERE VISSUTO]
Nell’ultimo anno e mezzo la mia vita è cambiata. Nuovamente. Questo grazie alla pandemia è successo a tutti, ma ad alcuni è successo più che ad altri, forse perché nel mezzo della bufera c’era già tanta della loro vita. Io sono tra quelli, un po’ sfortunati e un po’ cercatori d’oro, bastonati alle volte e premiati molte altre, forse perché l’audacia porta con sé già un suo Paradiso in monoporzione.
Quindi per farla breve succede così: una sera della scorsa settimana chiamo la padrona di casa perché ci sono state taciute spese folli ed era arrivato il conto da pagare. Io non so a quanti di voi sia capitato di doversi inventare di tutto per arrivare alla fine del mese ma a me, specie in famiglia da bambina e poi da sola da ragazza, è un qualcosa che è capitato spesso. Ai tempi non avrei saputo identificare un responsabile né, forse, ho mai pensato c’è ne fosse uno. A oltre 35 anno uno si guarda allo specchio e se non fa finta di guardare altrove lo trova subito, poi, se non fa sempre finta di niente, cerca una soluzione radicale. Chiamo chi di dovere e, beh, la risposta al “Pronto Denise, abbiamo 4000€ di spese da pagare, ti sembra normale?” è stata: (risate felici di sottofondo) “Sono ad un compleanno, tra parenti, non mi sembra il momento di parlarne e poi non ne so niente, quindi magari ci sentiamo più avanti quando avrò tempo di guardarci, in tutti i casi non ora”. In quel momento tu guardi uno specchio immaginario davanti ai tuoi occhi e pensi anche di essere stato un deficiente a sperare di trovare, quantomeno, una parola di supporto. Bene, lei quella serata si è divertita e ha festeggiato (e ovviamente non ha mai richiamato), io ho pianto e non dormito, pianto e telefonato, pianto e mandato mail, pianto e inventato qualcosa, pianto e capito, un po’ per caso e solo alla fine, che le mie gambe, ormai senza muscoli e dalle articolazioni delicate, mi sostengono ancora. Non solo le mie, si intende; ho avuto sfortune innumerevoli ma nettamente più fortune. Non ho mai smesso di scendere nell’arena anche se ho creduto di non farcela più, anche se ho creduto che col passare del tempo potesse solo fare male. Quella notte, tra le lacrime, ho scritto la traccia del libro che scriverò. Ringrazio F per avermi lasciato il giorno del mio diciottesimo compleanno insegnandomi ad assumermi le responsabilità delle mie scelte sbagliate. Ringrazio mio padre per avermi ricordato ogni santo giorno che riuscire significa solo fare il proprio dovere (“Non vorrai mica sentirti dire anche brava? Io al tuo posto avrei fatto di meglio”), ringrazio A per avermi detto, un giorno sotto la pioggia, con le gambe molli per il panico e l’agorafobia, che dovevo farcela da sola, partendo poi in macchina e lasciandomi lì. Ogni vostra frase mortale, se avevate il dubbio, non mi ha cambiato. Ora sono la stessa, solo più vecchia, alle volte più stanca, ma che ancora combatte a denti stretti.
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