Extremes are never long lasting

Giorno 1

Definitivamente non ero pronta. Non ero pronta al fatto che decisioni estreme venissero prese e imposte da qualcuno che non fossi io.
Perché diciamocelo, sul ridurre al minimo le uscite e i contatti, sull’uscire solo per necessità o per andare in un posto lontano da tutti eravamo d’accordo, il Governo ed io. Durante le ultime due settimane ho preceduto di almeno un giorno tutte le decisioni prese. Troppo poco, troppo tardi comunque.
La limitazione della propria libertà è qualcosa che, anche se giustamente imposta (credo, chi diavolo ha mai vissuto qualcosa di simile?), è qualcosa che fa sentite in gabbia, o almeno cosi accade a me: maniaca del controllo, incapace di accettare le cose per quello che sono, ansiosa, paranoica, vagamente ipocondrica, terrorizzata dall’idea della morte e dell’abbandono, dell’incertezza e dell’irrimediabilità. COVID-19, vuoi mettere definitivamente alla prova i i miei nervi? Tutto insieme, tutto in una volta. Quando suonano alla porta tutte le tue paure, al netto di quella legata all’acqua (per fortuna e per ora) e tu sei lì, perduto e avviluppato in quell’istante dilatato nel quale da essere umano ti chiedi: “apro o mi defilo?”, ben conscio che la visita è tutt’altro che di cortesia...in quel momento,beh, non ti resta che rassegnarti all’ineluttabile: sei un essere umano, solo, abbandonato da Dio e persino dal Governo, in balia di un virus sconosciuto e di un Sistema che è già collassato ma ancora privo di questa etichetta. Nessun film apocalittico ti ha preparato a questo, non ci sono pop corn, non puoi uscire a comprarli. I sintomi sono quelli che ti accompagnano da anni durante tutti i mesi invernali e tu a tratti ne hai tanti, persino di più, persino immaginari. No, non mi riferisco tanto a quelli della malattia, per quelli che vuoi farci, hai fatto tutto quello che hai ritenuto opportuno nei giorni precedenti e il resto non dipende da te. Hai tutti i sintomi di chi sta avendo una crisi di nervi: ridi, piangi, piangi mentre ridi e ridi mentre piangi, non sai dove stare, non dormi. Sei in silenzio e apri la bocca solo per razionalizzare, la chiudi e hai più paura di prima. Forse è questa la questione: accettare che l’ignoto non dia il preavviso e possa persino terrorizzare. Accettare la paura, accettare di non sapere dove stare. Accettare di non essere pronto.
Anni fa diagnosticarono un tumore a mio padre. Anche allora credevo che ci sarei arrivata pronta e sapete che vi dico? Che mi sbagliavo alla grande. Non si arriva mai pronti alle lezioni della vita. Ai tempi ero giovane, spaventata, ma la vita continuava perché in un qualche modo il fatto che la cosa non riguardasse anche me mi lasciava margine di azione. Lui moriva e io potevo fare qualcosa di più, come il gioco dell’energia che non si crea e non si distrugge: veniva tolto a lui e arrivava a me, il prezzo? Relativamente basso per entrambi. Ma ora? Ora che riguarda tutti? Ora che se stai male puoi non essere curato? Ora che se stai male puoi morire perché mancano attrezzature, ospedali e medici? Perché nessuno era pronto, non soltanto tu. Perché hai smesso di essere al centro di quel fottuto universo che credevi di poter guardare da tutte le angolazioni. Ora che come specie abbiamo dimostrato di non essere pronti, che si fa? Non ci sono spalle sulle quali piangere quando sei in mezzo a una moltitudine di persone smarrite. Per quanto le nostre difese innate verso la realtà continueranno a farci percepire la faccenda come un film che sta durando troppo? Come se guardassimo la situazione attraverso un vetro dicendo: “non mi sembra vero?”, per quanto? E dopo, cosa si prova?
Ho un amico serbo che durante la guerra non poteva muoversi da dove stava. Un giorno in laboratorio, quando gli chiesi il perché di tutti i suoi spostamenti mi disse: “ avrei sempre voluto farlo e finalmente ora posso, quindi non mi fermo”. Io dopo la notizia del tumore di mio padre decisi di iscrivermi all’Università. é come un pendolo, quindi se tanto mi da tanto da questa faccenda può venire fuori qualcoa di altrettanto sorprendente. Speriamo solo di avere il tempo di accorgercene e forse, in realtà, lo stiamo già facendo.

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